Buoni pasto cartacei ed elettronici: nuovo limite tassazione

Vorrei iniziare con un sintetico passaggio esplicativo sui buoni pasto.

Diverse attività lavorative, sia pubbliche che private, osservando orari di lavoro che non consentono ai propri dipendenti di poter consumare il pasto in maniera regolare e/o mancando di servizi mensa, adottano i cosiddetti buoni pasto (ticket pasto o ticket restaurant) che, consegnati ai propri lavoratori, serviranno loro per acquistare il pranzo non consumato e/o prodotti alimentari presso specifici esercizi commerciali che si impegnano col datore di lavoro ad accettare queste forme di pagamento (supermercati, rosticcerie, trattorie, bar, fast food, eccetera).

In poche parole questo tipo di accordo coinvolge a catena, seppure in modi diversi: la società emettitrice (che predispone e concorda il valore dei ticket), il datore di lavoro (che li eroga come sostitutivi del servizio mensa), il lavoratore (che li “spende”, ovvero li usa per comprare il pasto) e l’esercizio commerciale convenzionato (che accetta i ticket dal lavoratore per poi, previa fatturazione, farsi rimborsare l’importo da chi li ha emessi).

L’importo del buono pasto è variabile ed il suo valore va preventivamente concordato tra l’azienda e chi li emette; non possono essere cumulati, posticipati né convertiti in denaro ma spesi solo per acquistare alimenti e, se il pasto consumato dovesse risultare superiore all’importo del buono, l’eccedenza concorrerà alla formazione del reddito di lavoro dipendente e, in quanto tale sarà sottoposto a regolare tassazione dal datore di lavoro. I ticket pasto, inoltre, godono di alcune agevolazioni contributive e fiscali.

In merito a queste ultime, nella recente Legge di stabilità n. 190 del 23 dicembre 2014 (Gazzetta Ufficiale del 29 dicembre 2014), per i buoni pasto ai dipendenti, resi in forma di carta elettronica, a decorrere dal 1° luglio 2015 il limite per non essere sottoposto a tassazione viene aumentato da € 5,29 (attualmente margine fissato per i buoni pasto cartacei sempre in vigore) a € 7,00.

Infatti, all’art. 1 commi 16 e 17 si legge:

(16) “Alla lettera c) del comma 2 dell’articolo 51 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, le parole: «di lire 10.240» sono sostituite dalle seguenti: «di euro 5,29, aumentato a euro 7 nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica»

(17) “La disposizione di cui al comma 16 entra in vigore il 1º luglio 2015

Facendo un passo indietro, è bene riportare quanto sancisce l’art. 51 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) 917/1986 al suo comma 2 lettera “c, ovverosia:

(2) Non concorrono a formare il reddito: […] c) le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino all’importo complessivo giornaliero di lire 10.240, le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione” (quest’ultimo punto modificato a decorrere dal 1° luglio 2015 come sopra detto).

L’introduzione del più alto limite di non imponibilità dei buoni pasto se in formato elettronico (fissato appunto a € 7,00), oltre che per incentivare il pagamento tramite lettura con dispositivi POS abilitati (che agevolerebbe tanti aspetti burocratici), è stato concepito anche per fornire immediato riscontro all’operazione effettuata, riuscendo inoltre ad identificare chi lo utilizza con necessaria coincidenza dell’effettiva presenza al lavoro e orario di pausa pranzo.

poldoIn poche parole, con l’avvento del buono pasto elettronico si cerca di porre fine all’uso, definiamolo improprio, dei buoni pasto che, soventemente e come prassi finora consolidata e diffusa, si sono spesi presso esercizi commerciali convenzionati che qualche volta, a richiesta del lavoratore, hanno consentito di pagare cumulando i buoni pasto, e non mi pare che così facendo si danneggi alcuno.

E quando, a volte, ci si chiede il motivo per cui alcuni esercizi commerciali non accettano i buoni pasto, ragionando da consumatori ci si arrabbia, ma, se ci soffermiamo un attimo a pensare, è bene rammentare che quei negozi che ritirano i buoni non incassano immediatamente le somme, ma devono aspettare un certo periodo di tempo (non meno di un mese) per fatturare e poi ricevere il corrispettivo dalla società emettitrice. Per non parlare dei problemi fiscali che possono derivare alle imprese da simili operazioni contabili.

mensaLe agevolazioni fiscali e contributive sopra accennate riguardano la deducibilità (che abbassa il reddito sul quale calcolare le tasse) e la detraibilità (che si può sottrarre dall’imposta da pagare) dei buoni pasto e, nello specifico:

  • detraibilità totale ai fini Iva (Imposta sul Valore Aggiunto) applicata al 4%;
  • deducibilità ai fini Irap (Imposta Regionale sulle Attività Produttive) e Ires (Imposta sul Reddito delle Società);
  • non assoggettamento ad Irpef (Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche) né a contribuzione Inps fino al limite di € 5,29 per ogni giorno di effettiva fruizione.

Fa strano che il nostro Governo inciampi sempre sui ciottoli e non vada mai a sbattere il muso sui grandi scogli o peggio montagne che altri e più insigni del pubblico impiego (e non sto alludendo all’impiegato tipo) usano per il loro quotidiano tornaconto. Si vuole “educare” chi cerca conforto anche in un buono pasto di € 5,29 per coprire parte di una spesa che altrimenti non potrebbe fare o farebbe con grande fatica e difficoltà, ma si tralascia chi la “spesa” (magari fosse solo quella!) la fa da sempre e per sempre sulle spalle del piccolo ignaro contribuente.