Parannanza al posto delle buste di plastica monouso

Dall’inizio dell’anno in corso, chi si occupa di fare la spesa si sarà accorto che sullo scontrino, tra le voci “non commestibili”, risulta anche il costo delle buste di plastica monouso con cui pesiamo i prodotti di ortofrutta.

Fino alla fine del 2017, quei sacchetti sottilissimi, trasparenti e quasi evanescenti, ci erano forniti gratuitamente dagli esercizi commerciali. Ora, pur volendo praticare una politica commerciale competitiva, gli stessi esercenti sono obbligati a documentarne il ricavo nello scontrino o in fattura.

Come si è arrivati a questo?

I soliti buontemponi della politica, che devono pur passare il tempo tra gli scranni che noi abbiamo loro permesso di occupare pagandoli pure a peso d’oro, hanno deciso che il mondo intorno a noi dev’essere più pulito.

Non riuscendoci con la loro coscienza, ecco che trovano il modo di farlo decidendo di mettere in commercio materiali sempre più biodegradabili e compostabili.

Iniziativa apprezzabile, se solo non facesse ricadere il costo sempre sui soliti noti cittadini consumatori, senza distinzione alcuna, poiché davanti alle tassazioni l’uguaglianza è indispensabile.

Se il fine voleva essere quello di arginare lo spreco, credo di poter dire con certezza che, per simili proposte, lo sguardo dovrebbe essere rivolto altrove, non troppo lontano da quei banchi sopra richiamati.

Ebbene, con decreto legge n. 91 del 20 giugno 2017 (convertito con la legge n. 123 del 2017), poco prima del periodo estivo, notoriamente momento di riposo per chi ha veramente lavorato tutto l’anno, viene esitata questa norma che passa inosservata fino a quando qualche organo di informazione non decide di portarla a conoscenza del consumatore.

La cosa scandalosa è non solo l’arzigogolato enunciato di legge, ma la dovizia di particolari nello stabilire che il consumatore debba – volente o nolente – pagare, e che l’esercizio commerciale non si possa esimere dal farlo, pena l’irrogazione a quest’ultimo di ingenti sanzioni amministrative.

Il paradosso.

Ecco ciò che si legge all’art. 9 bis punto 5 e seguenti di detta legge:

Le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite […]. La violazione delle disposizioni […] è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 2.500 a 25.000 euro. La sanzione amministrativa […] è aumentata fino al quadruplo del massimo [€ 100.000] se la violazione del divieto riguarda ingenti quantitativi di borse di plastica oppure un valore di queste ultime superiore al 10% del fatturato del trasgressore […].

Inoltre, nella norma di cui stiamo parlando, si fa riferimento a una direttiva (UE) del 29 aprile 2015 n. 720 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea che, diversamente da quanto stabilito a partire da gennaio 2018, cioè che le buste di plastica monouso il consumatore le debba pagare senza deroga alcuna, prevede al suo art. 13 l’esonero di tale esborso.

Infatti, in merito al costo di tali buste di plastica, si legge quanto segue:

Le misure che devono essere adottate dagli Stati membri possono prevedere l’uso di strumenti economici come la fissazione del prezzo, imposte e prelievi, che si sono dimostrati particolarmente efficaci nella riduzione dell’utilizzo di borse di plastica, e di restrizioni alla commercializzazione […], purché tali restrizioni siano proporzionate e non discriminatorie.

Tali misure possono variare in funzione dell’impatto ambientale che le borse di plastica in materiale leggero hanno quando sono recuperate o smaltite, delle loro proprietà di riciclaggio e compostaggio, della loro durata o dell’uso specifico previsto, nonché in considerazione di eventuali effetti nocivi di sostituzione.

Gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron («borse di plastica in materiale ultraleggero») fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi ove necessario per scopi igienici oppure se il loro uso previene la produzione di rifiuti alimentari.

Non c’erano altre soluzioni per questi luminari del sacchetto?

Quando ero piccola, tra la gente del mio quartiere sentivo spesso il termine “parannanza”, il cosiddetto grembiule da cucina, nel mio dialetto (siciliano) detto anche fantàli.

Bene, vista l’attenzione alle tradizioni popolari, alle vecchie usanze e ai passati folclori, per risparmiare sulle buste di plastica monouso biodegradabili e compostabili che ci hanno imposto a pagamento, potremmo ovviare al divieto di portare delle buste da casa indossando la parannanza e raccogliendovi dentro frutta e verdura, che poi riverseremo alle casse per pagare e in un bel cesto da trasportare.

Sarebbe poco pratico, ma sicuramente molto… pittoresco!