Jobs Act: Assegno Di Ricollocazione Per Disoccupati

Ormai le sigle sono entrate a far parte del nostro quotidiano. Mano a mano che ne memorizziamo alcune per noi più importanti, ecco che ne spunta una nuova miriade. Fondamentalmente il senso non cambia, anzi, peggiora e confonde, ma, rinnovando l’acronimo, tutto sembra più nuovo ed efficiente.

Mi ricorda il proverbio: “paese che vai usanza che trovi” [dal dizionario dei modi di dire del Corriere della Sera: “di origine proverbiale, il detto ricorda che ogni Paese ha caratteristiche e usanze peculiari, e in senso lato, che su certe cose ognuno fa a modo suo. Sottintende a volte un giudizio di stravaganza che tuttavia si accetta bonariamente”]. Nello specifico, potrei riassumere con: “ognuno fa a modo suo”!

Il Governo, nella riforma del lavoro, il cosiddetto Jobs Act, è riuscito a mettere insieme un vero e proprio scioglilingua: NASpI (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego ), ASDI (Assegno di disoccupazione), DIS-COLL (Indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa) e il Contratto di ricollocazione, la locuzione che sembra più normale.

È proprio del Contratto di ricollocazione o di ricollocamento o voucher o, per usare un termine inserito nella legge, “dote individuale di ricollocazione” che vorrei parlare.

Questo specifico ammortizzatore sociale (il cui diritto è subordinato alla sottoscrizione di un patto di servizio personalizzato), previsto in caso di disoccupazione involontaria e/o dovuta a perdita di lavoro anche a seguito di licenziamento legittimo, è stato introdotto, insieme ad altre prestazioni, con Decreto Legislativo n. 22 del 4 marzo 2015 (Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2015) in attuazione della Legge n. 183 del 10 dicembre 2014.

Al suo Titolo IV, art. 17, si legge testualmente:

jobs-act“[…] 2. Il soggetto in stato di disoccupazione, ai sensi dell’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181 ha diritto di ricevere dai servizi per il lavoro pubblici o dai soggetti privati accreditati un servizio di assistenza intensiva nella ricerca del lavoro attraverso la stipulazione del contratto di ricollocazione, finanziato ai sensi del comma 1, a condizione che il soggetto effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità, ai sensi del decreto legislativo di cui all’articolo 1, comma 4, della legge 10 dicembre 2014 n. 183, in materia di politiche attive per l’impiego.

3. A seguito della definizione del profilo personale di occupabilità, al soggetto è riconosciuta una somma denominata «dote individuale di ricollocazione» spendibile presso i soggetti accreditati.

4. Il contratto di ricollocazione prevede:

a) il diritto del soggetto a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte del soggetto accreditato;

b) il dovere del soggetto di rendersi parte attiva rispetto alle iniziative proposte dal soggetto accreditato;

c) il diritto-dovere del soggetto a partecipare alle iniziative di ricerca, addestramento e riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali coerenti con il fabbisogno espresso dal mercato del lavoro, organizzate e predisposte dal soggetto accreditato.

5. L’ammontare della dote individuale è proporzionato in relazione al profilo personale di occupabilità e il soggetto accreditato ha diritto a incassarlo soltanto a risultato occupazionale ottenuto, secondo quanto stabilito dal decreto legislativo di cui al comma 2.

6. Il soggetto decade dalla dote individuale nel caso di mancata partecipazione alle iniziative previste dalle lettere b) e c) del comma 4 o nel caso di rifiuto senza giustificato motivo di una congrua offerta di lavoro ai sensi dell’articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181 pervenuta in seguito all’attività di accompagnamento attivo al lavoro. Il soggetto decade altresì in caso di perdita dello stato di disoccupazione. […]”

La condizione principale per poter accedere a questo ammortizzatore sociale è lo stato di disoccupato da almeno 6 mesi. Di solito, quando si perde il lavoro, il lavoratore (sempre che ne abbia diritto), per ottenere almeno le prestazioni di sostegno al reddito, si presenta presso il Centro per l’Impiego territorialmente competente e rilascia la cosiddetta dichiarazione immediata di disponibilità lavorativa (modello DID), ovvero comunica di trovarsi senza lavoro e di essere disponibile al reinserimento lavorativo allorquando la rete di assistenza e orientamento al lavoro che dovrebbe fornire il Centro per l’Impiego dovesse “funzionare”. Con l’appena citata dichiarazione e firmando il patto di servizio personalizzato, il disoccupato assume l’impegno di accettare eventuali colloqui di lavoro, tirocini e altre misure che possano ricollocarlo al lavoro e, se dovesse rifiutare un’assunzione affine alle proprie capacità, perderebbe o subirebbe la riduzione della prestazione di disoccupazione in corso.

Altra possibilità per il disoccupato di far conoscere la sua disponibilità al lavoro, sarebbe (e uso il condizionale come dato di fatto poiché a tutt’oggi questo servizio non esiste) quella di iscriversi al Portale Unico Registrazione Persone In Cerca di Lavoro. Quando e se dovesse essere attivato se ne potrà discutere; per il momento si continuerà a dichiarare la propria disponibilità lavorativa come di consueto.

Se “l’assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte del soggetto accreditato” consiste e si limita alla consultazione online di banche dati “potenziate”, penso che lo stesso disoccupato possa fare da sé, stante che di strumenti al fine ve ne sono una infinità, non ultimo l’istituzionale Portale “cliclavoro”, predisposto dal Ministero del Lavoro per chi offre e cerca lavoro. Non serve dunque, a mio parere, “incentivare” e pagare alcuno perché svolga il compito per il quale è preposto.

È chiaro che ogni individuo, avendo le proprie peculiarità e professionalità, oltre le proprie inclinazioni e attitudini, ha diverse possibilità di trovare una giusta collocazione e, in virtù di tale differenza, ci si imbatterà inevitabilmente in difficoltà di inserimento lavorativo. Sembra però che questa complicazione, che nel caso che ci occupa si tramuta in un diverso parametro di valutazione economica della “dote” concessa virtualmente al disoccupato, sia demandata a chi si impegna a cercare il lavoro (CPI e/o Agenzie per il lavoro private).

Tra i soggetti accreditati presso i quali il disoccupato può/deve spendere la “dote individuale di ricollocazione”, con una sorta di “pagherò” fornito dallo Stato (o dalle Regioni) e solo dopo che gli sarà trovata una nuova occupazione, la legge indica, oltre che i CPI (Centri per l’Impiego), anche le Agenzie per il lavoro private.

È appena il caso di accennare alle loro differenze. I Centri per l’Impiego, originariamente conosciuti come Uffici di Collocamento, sono delle strutture pubbliche, in possesso di banche dati riferiti a chi cerca un’occupazione. Essi segnalano eventuali forze lavoro a chi le richiede, a cui poi spetterà la selezione ai fini dell’assunzione. Le Agenzie per il lavoro private, invece, previa autorizzazione da parte del Ministero del Lavoro, somministrano personale e servizi a chi ne fa richiesta. Il lavoratore in questo caso ha un lavoro dipendente con l’Agenzia che lo colloca.

L’importo dell’assegno di ricollocamento può andare da un minimo di € 1.500 (disoccupato facilmente collocabile) ad un massimo di € 4.000 (basso profilo occupazionale e professionale e dunque con difficoltà di collocazione al lavoro) e, si badi bene, non va al lavoratore o all’azienda che assume, ma a chi (CPI e/o Agenzia del lavoro privata) si è “prodigato” per cercare e trovare il lavoro, tanto che lo si può incassare solo ad occupazione avvenuta.

Come sono solita asserire, ogni iniziativa in soccorso di fasce sociali più deboli, che non si limiti ad un mero assistenzialismo, è sempre significativa. Ma, dopo aver letto i dettami di questa direttiva, qualche dubbio sento il bisogno di esprimerlo.

Le mie perplessità

impiegato-centro-per-l-impiegoPerché “pagare” una struttura che già assolve al compito di mettere in relazione la cosiddetta domanda-offerta di lavoro?

Su quanto personale dovrebbe contare un Centro per l’Impiego (che, quando va bene, fa rimanere in piedi per accelerare l’esposizione del tuo problema) e/o un’Agenzia per il lavoro privata per poter assegnare un assistente che segua il disoccupato nel percorso di ricerca di una nuova occupazione? Utopia!

Le modalità di valutazione dell’impegno profuso dal responsabile individuato per offrire al disoccupato un “servizio di assistenza intensivo” per cercare lavoro, quali saranno e da chi saranno determinate?

Considerato che l’assegno di ricollocazione lo incasserà l’Agenzia privata o pubblica che ha cercato e trovato il lavoro per il disoccupato, che non leggo debba essere un contratto necessariamente a tempo indeterminato, chi impedisce che il lavoratore si trovi di lì a poco di nuovo disoccupato? Torna ad essere assistito nella nuova ricerca di lavoro?

Tra le iniziative per trovare lavoro, proprie del “patto di servizio personalizzato” da sottoscrivere non appena convocati dal Centro per l’Impiego,  pena la decadenza del voucher di disoccupazione, sono previsti tirocini, corsi di formazione, di riqualificazione, eccetera. Chi predisporrà e fornirà questi corsi? Chi vigilerà sulla correttezza ed effettivo svolgimento degli stessi?

Non si creerà così una sorta di “mercato” del lavoro che non si esclude possa avere anche caratteri coercitivi da parte di individui o gruppi in odore di “caporalato”? (Il caporalato è un fenomeno criminale avente ad oggetto lo sfruttamento della manodopera lavorativa, con metodi illegali. Fonte: Wikipedia)

Per quanto mi riguarda, voglio sperare che ogni disoccupato possa perdere il diritto a questa “dote” virtuale perché è stato in grado di trovare da solo il proprio lavoro senza ricorrere a quel non ben definito aiuto (pagato e per nulla disinteressato) di chicchessia.

Peccato che il nostro Stato non riponga nel comune cittadino la stessa fiducia che affida a strutture estranee allo stesso. Sarà forse vero che “colui che non crede a nessuno sa che egli stesso non è degno di fiducia” (B. Auerbach)?