Appropriatezza Prescrittiva delle Prestazioni Sanitarie

Una cosa che ai nostri pseudo-governanti non manca è la fantasia. Direi che, avendo la mente sgombra da problemi quotidiani, nonché da impegni lavorativi, il loro passatempo preferito è l’inventiva di acronimi, di arzigogoli, di imposizioni e appellativi che per loro sono la “trovata”, mentre per il cittadino diventano l’incognita e dunque la “preoccupazione”.

Il Ministero della Salute ha recentemente emanato il Decreto del 9 dicembre 2015, definito ”di appropriatezza”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 2016.  Il Garzanti Linguistica riporta il termine «appropriatezza» come “in linguistica testuale, la corrispondenza tra i contenuti e lo stile di un testo”.

Ebbene, l’estro dei nostri legislatori ha forgiato, con la sfumatura più adatta al loro tornaconto, questa terminologia adattandola ad un loro bisogno: risparmiare sulla pelle del cittadino per potersi garantire ancora a lungo i loro lauti compensi e privilegi altrimenti messi a rischio. Sulle loro bocche sentire le parole “abusi” e “sprechi” (intervento del Ministro della Salute nel corso di una puntata di Porta a Porta del 28 settembre 2015) è un insulto alla nostra intelligenza e fa arrabbiare veramente tanto.

Su Wikipedia, al termine “appropriatezza” si legge testualmente: “In Sanità, il termine appropriatezza è la misura di quanto una scelta o un intervento diagnostico o terapeutico sia adeguato rispetto alle esigenze del paziente e al contesto sanitario. Un intervento diagnostico o terapeutico risulta appropriato nel momento in cui risponde il più possibile, relativamente al contesto in cui si colloca, ai criteri di efficacia, sicurezza ed efficienza. Il concetto di appropriatezza fa riferimento principalmente al momento decisionale dell’atto medico. Infatti, un atto medico può essere eseguito più o meno correttamente, prescindendo dalla sua appropriatezza.

A questo punto, considerato che il vero protagonista di queste scelte sembra essere il “medico prescrittore” e la sua decisione, si poteva ampliare il concetto aggiungendo una nuova figura professionale, cioè il medico indovino: “è bravo quando riesce a prevedere e non lo è quando sbaglia” (testa o croce)!

Il 22 gennaio 2016, il Ministero, sulla sua pagina Web, riporta la notizia così come segue:

“Appropriatezza prescrittiva, il Decreto in Gazzetta. Il Decreto ministeriale 9 dicembre 2015, che individua le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva per 203 prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale erogabili nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 20 gennaio 2016.

In particolare, le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva previste nel Decreto interessano: Odontoiatria, Genetica, Radiologia diagnostica, Esami di laboratorio, Dermatologia allergologica, Medicina nucleare.

Sono 3 gli allegati al Decreto:

l’allegato 1 contiene le 203 prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale cui sono associate condizioni di erogabilità o indicazioni di appropriatezza prescrittiva;

testa-o-crocel’allegato 2 riporta le patologie diagnosticabili con le prestazioni di genetica medica; le patologie e le condizioni per le quali è appropriata l’esecuzione di prestazioni di citogenetica; le patologie e le condizioni oncoematologiche per le quali è indicata l’indagine genetica e/o citogenetica e le patologie e le condizioni per cui è appropriata l’esecuzione di prestazioni di immunogenetica;

l’allegato 3 contiene i criteri con cui sono state identificate le condizioni di erogabilità di odontoiatria”.

Leggendo il Decreto in questione, viene spontaneo chiedersi quali sono gli obiettivi che tale decisione vuole conseguire.

• Il primo obiettivo credo di averlo già esposto nella mia introduzione;

• il secondo scopo potrebbe essere quello di impegnare i medici di base in una routine burocratica tale da distogliere loro del tempo prezioso per la reale finalità della professione medica, ovverosia: ascoltare, seguire, visitare (in ambulatorio e a domicilio ove occorra) e curare i pazienti che si rivolgono a loro;

• la terza intenzione mi sembra quella di favorire gli specialisti che, a quanto pare, sembrano quelli aventi titolo “… per erogare le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale per conto del Servizio sanitario nazionale” (art. 2, comma 1, lettera “c” del Decreto);

• la quarta meta non escludo possa servire alla professione legale. Sarebbero così tante le azioni legali per mala sanità che quelle avanzate finora rappresenterebbero solo un assaggio; mi chiedo con quale spirito di trasparenza dovrebbe riuscire a lavorare il medico di base  e con quale serenità dovrebbe accettare la decisione di quest’ultimo il paziente che, fino a prova contraria, credo sia l’unico a sentire veramente il peso di quel malore che, comunque esporrà, non è detto che avrà la giusta risoluzione;

• il quinto fine potrebbe essere quello di agevolare l’imprenditoria funeraria poiché, nel leggere sempre l’art. 2 comma 2 del Decreto, fa rabbia non solo la discriminante dell’età, ma anche tutto il resto, ed è per questo che preferisco trascrivere la stoltezza di tale articolo:

“Ai fini dell’applicazione delle condizioni di erogabilità nella prescrizione delle prestazioni di radiologia diagnostica di cui al presente decreto, per la definizione del «sospetto oncologico» […] devono essere considerati i seguenti fattori: 1) anamnesi positiva per tumori; 2) perdita di peso; 3) assenza di miglioramento con la terapia dopo 4-6 settimane; 4) età sopra 50 e sotto 18 anni; 5) dolore ingravescente, continuo anche a riposo e con persistenza notturna”.

cavia-da-laboratorioNon ci sono parole! Sarei curiosa di sapere se una persona (o lo stesso suo medico di famiglia) possa sentirsi rassicurata di essere una cavia. Per chi ha scritto la norma, è un sano principio morale dover aspettare un miglioramento per un mese/un mese e mezzo? È notorio che certe patologie oncologiche necessitano di tempestivi interventi così da contenere i danni. I nostri legislatori aspetterebbero tutto quel tempo? No, no di certo: loro e chiunque sia nelle condizioni economiche di potersi permettere una rapida prestazione e intervento a proprie spese, non aspetteranno mai; tutti gli altri rinunceranno alle cure.

Se poi gli specialisti ai quali rivolgerci noi comuni mortali sono quelli messi a disposizione dalle ASL previa prenotazione al Centro Unico, allora è tutto risolto! Saranno certamente rispettati i tempi di attesa perché la terapia faccia il suo corso: appena 4/6 settimane!

Io non sono un medico e conto di non entrare nel merito dell’aspetto sanitario che non mi compete. È facile, per chi non ha competenze mediche, aderire alla conclusione che gli esami, soprattutto di indagine diagnostica, possono essere dannosi per il paziente, ma non credo si possa ridurre tutto ad un elenco (seppure interminabile). Tra l’altro, il solo scorrere gli allegati al Decreto mi chiarisce che un medico, per riuscire a stabilire se o meno il suo paziente rientra nella condizione di erogabilità della prestazione, ha bisogno di molto, molto tempo che, inevitabilmente, sottrarrà al naturale rapporto medico-paziente. Valuterà più o meno in quale categoria di prestazione specialistica rientra il malessere esposto dal malato e inizierà la sua lunga compilazione. Inaccettabile. Così come intollerabile è porre il medico davanti ad una scelta che dovrà comunque giustificare: o al paziente (e si spera non ai familiari di quest’ultimo) o al Servizio Sanitario!

Non voglio nemmeno soffermarmi sull’allegato 3 che parla dei “Criteri per la definizione delle condizioni di erogabilità delle prestazioni odontoiatriche”: quello che mi ha colpito di più è stato il punto sulla  “Vulnerabilità Sociale”. Sembra si prenda atto del costo elevato delle cure odontoiatriche presso gli erogatori privati e del fatto che questi rappresentano oggi l’unica alternativa per la grande maggioranza della popolazione, ma si insiste in tutta una serie di limitazioni e condizioni (situazioni di esclusione sociale per indigenza, situazioni di povertà e reddito medio/basso) che poi, alla fine, si demandano per la valutazione alle Regioni e Province autonome. Il solito scarica barile in danno del cittadino che non sta aspettando una risposta fine a se stessa, ma aspetta di essere messo nelle condizioni di poter masticare, e dunque sostentarsi, per sopravvivere, in assenza di un’adeguata protesi dentaria.

mal-di-dentiEppure, la definizione di vulnerabilità sociale, elaborata da chi vulnerabile non è affatto, merita attenzione. Qui si sono veramente impegnati; le belle parole sicuramente nel loro lessico non mancano: “[La vulnerabilità sociale] può essere definita come quella condizione di svantaggio sociale ed economico, correlata di norma a condizioni di marginalità e/o esclusione sociale, che impedisce di fatto l’accesso alle cure odontoiatriche oltre che per una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura, anche e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture odontoiatriche private. In particolare, l’elevato costo delle cure presso  gli  erogatori privati, unica alternativa oggi per la grande maggioranza della popolazione, è motivo di ridotto accesso alle cure stesse soprattutto per le famiglie a reddito medio/basso; ciò, di fatto, limita l’accesso alle cure odontoiatriche di ampie fasce di popolazione o impone elevati sacrifici economici qualora siano indispensabili determinati interventi …“.

Siamo sicuri che il riferimento siamo noi, cittadini italiani?

Tra le tante cose veramente “appropriate” per i cittadini e la loro salute, il vero problema che si è posto il legislatore non è stata tanto la risoluzione di una difficoltà nella sanità che tutti lamentiamo, ma la decimazione di quanto già insufficiente e carente fosse rimasto.

Non più tardi del 19 gennaio 2016, Federconsumatori lanciava l’allarme di rinuncia alle cure e reiterava la preoccupazione condivisa anche da noi cittadini il 05 febbraio 2016 chiedendo al Ministro “di intervenire al più presto per correggere le inaccettabili incongruenze …”. Sembra che il 12 febbraio 2016 sia stato siglato un documento in cui “sono state esaminate le criticità emerse successivamente alla pubblicazione del D.M. del 9 dicembre 2015 sull’appropriatezza prescrittiva”. Si attende ora che il Ministro mantenga l’impegno “…ad ascoltare ed approfondire le ragioni delle Organizzazioni Sindacali in un incontro che convocherà la prossima settimana”.

Noi attendiamo pure che di scempiaggini in nostro danno se ne imbastiscano di meno! Al cittadino non serve che il Governo rispetti la propria tabella di marcia, esitando le solite leggi frammentarie, indecise, da rivedere, smussare, gestire, ma piuttosto che si marci concretamente verso l’interesse delle esigenze e dei bisogni del cittadino. Le contrattazioni e i confronti vanno fatti prima di divulgare una legge, non dopo, aspettando che qualcuno si erga a tutela del cittadino.

Il cittadino non dovrebbe essere tutelato da terzi nei confronti dello Stato, ma da quest’ultimo nei confronti dell’inganno di terzi.