Dal 4 agosto 2013 l’APE sostituisce l’ACE: sigle inutili

Siamo subissati di sigle. Eppure, con l’avvento della tecnologia moderna, siamo stati i primi ad alzare il dito contro il “popolo” degli sms accusando chi ne fa uso di esprimersi con slang indecifrabili e incomprensibili: tutto tronco, contratto e sgrammaticato; la differenza sostanziale tra queste abbreviazioni e quelle che spasmodicamente da più parti si cerca di tatuare sul portafogli del cittadino italiano, è che le prime al massimo possono danneggiare la cultura nozionistica, mentre le seconde e le sanzioni a loro annesse fanno veramente danno!

Se dovessimo enumerare gli acronimi esistenti nelle leggi italiane, nella Pubblica Amministrazione, nei vari Enti, ecc. sarebbe un disastro: ogni governo, cercando di ripulirsi la coscienza (sempre che ne abbia una) per sentirsi parte di un cambiamento, nella sostanza e per il suo tornaconto personale non modifica nulla, ma nella forma la variazione è importante: con un’altra sigla e con un altro nome sembrerà tutto diverso e il cittadino “allodola” si farà abbindolare anche da questo nuovo specchietto.

Poco tempo fa mi trovavo presso uno studio notarile e, tra una conversazione e l’altra, venne fuori il termine APE. Probabilmente il notaio si è accorto del dubbio che mi si era insinuato e, con aria scherzosa, mi fa: “Non si tratta della motoape, ma dell’attestato di prestazione energetica che sostituisce il già esistente ACE, attestato di certificazione energetica”.

A questo punto, pur non essendo una materia a me nota, ho desiderato capirci qualcosa di più e, soprattutto, mi sono domandata se o meno tale diversa denominazione avrebbe cambiato qualcosa o sarebbe stato l’ennesimo nuovo maldestro tentativo del governo di confonderci le idee e di darci altro su cui riflettere e pensare, così da tenerci impegnati e non vedere ciò che ormai è sotto gli occhi di chiunque: il declino della nostra società.

Diciamo subito che l’utilità dell’attestato di prestazione energetica, da allegare anche agli atti di compravendita (e non solo), dovrebbe essere quella di assicurare all’acquirente in fase di trasferimento di immobile (o in base a ciò che prevede la legge anche ad altri soggetti, come vedremo più sotto), una completa informazione sulla preesistente prestazione energetica dell’edificio e anche su come gestire le successive potenzialità migliorative del rendimento energetico.

Le differenze? Mentre l’ACE attestava solo i consumi energetici relativi al riscaldamento, l’APE dovrebbe attestare anche i consumi energetici legati alla climatizzazione estiva: in pratica dovrebbe essere più completa.

Rimane comunque un documento, dai costi abbastanza alti, che:

  • dev’essere elaborato e redatto da esperti qualificati e indipendenti iscritti all’Ordine o Collegio;
  • ha una durata di dieci anni (a meno che nel frattempo non si apportino sostanziali modifiche all’immobile);
  • è tenuto al rilascio il costruttore o il venditore se si tratta di un immobile di nuova costruzione o ristrutturato; lo è invece il proprietario dell’alloggio se l’atto riguarda una locazione o altro.

Inutile parlare delle sanzioni se tale disposizione non dovesse essere rispettata: sulla loro pronta irrogazione non ho dubbi!

Tale documentazione in materia di efficienza e rendimento energetico nell’edilizia non è comunque una novità (di nuovo sembrerebbe esserci solo la sigla), infatti era già in vigore da diverso tempo in forza del decreto legislativo n. 192 del 19 agosto 2005 (in Gazzetta Ufficiale del 23.09.2005); ora, dal 4 agosto 2013, vige il decreto legge 4 giugno 2013, n. 63 come convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2013, n. 90, recante il recepimento della direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia.

Con tale provvedimento viene soppresso l’attestato di certificazione energetica (ACE) e introdotto, in sua sostituzione, l’attestato di prestazione energetica (APE), rispondente ai criteri indicati dalla direttiva 2010/31/UE che prima era la 2002/91/CE. Trovandoci però in una fase transitoria, come ho già sopra accennato, questo documento cambia nome ma essenzialmente viene compilato secondo le vecchie norme.

I nostri legislatori, che non si smentiscono quasi mai – e non sempre per incompetenza, ma a mio parere per deliberata scelta -, considerato che ingenerare dubbi e perplessità sembra fare parte del loro bagaglio “culturale” (così come quello di dover, solo successivamente e mai preventivamente, ascoltare o tenere in debita considerazione la testimonianza “sul campo” con l’apporto delle esperienze degli operatori del settore e/o di altre competenze veramente tali), ecco che, in linea con il loro modo di operare, stabiliscono però una novità sostanziale all’art. 6 comma 3 del precedente decreto, modificandolo (tanto per loro sono solo parole e sembra che più se ne dicano più importanza assume il ruolo di questo o di quell’altro) e aggiungendo un altro comma, il 3-bis, così come segue:

“3. Nei contratti di vendita, (negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito) o nei nuovi contratti di locazione di edifici o di singole unità immobiliari è inserita apposita clausola con la quale l’acquirente o il conduttore danno atto di aver ricevuto le informazioni e la documentazione, comprensiva dell’attestato, in ordine alla attestazione della prestazione energetica degli edifici.

3-bis. L’attestato di prestazione energetica deve essere allegato al contratto di vendita, agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione, pena la nullità degli stessi contratti.”

Dunque, se facciamo la differenza con il precedente articolo 6 comma 3 [“Nel caso di compravendita dell’intero immobile o della singola unità immobiliare, l’attestato di certificazione energetica è allegato all’atto di compravendita, in originale o copia autenticata], ci rendiamo sùbito conto che la complicazione, così come la preoccupazione, si riferisce maggiormente all’espressione: “… pena la nullità degli stessi contratti”.

Si immagini per un istante chi ha in corso delle transazioni immobiliari, a titolo oneroso e ora anche gratuito (come le donazioni), oppure persino una semplicissima locazione, e le vede inficiate – fino addirittura ad essere annullate – per il solo fatto che “qualcuno”, senza pensare alle conseguenze, ha deciso di inserire (sempre al comma 3 dell’art. 6 del decreto legislativo già esistente), dopo la parola “vendita”, la frasetta: “negli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito” e, ove non bastasse, di aggiungere altresì il comma 3-bis come sopra trascritto.

Le conseguenze su tali scelte, che si potevano anche discutere prima di emanare la legge e di creare subbugli, hanno sollevato il caos sia nel mondo dell’edilizia, sia in quello notarile. Tanto che, in merito, si sono pronunciate, cercando di fare chiarezza, sia il Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per l’energia – con la circolare Prot. n. 0016416 del 7 agosto 2013, sia il Consiglio Nazionale del Notariato intervenuto con delle prime note interpretative relative all’allegazione dell’APE a pena di nullità. Ma, emblematico e manifesto del tangibile pregiudizio che si è creato, mi sembra il Comunicato Stampa di Confedilizia e della circolare Prot. n. 17198.13/GST/ae – entrambi del 7 agosto 2013 – in cui il passaggio finale è eloquente anche a chi non è del settore, come me:

“Attesa la gravità della sanzione prevista (nullità, appunto) è indispensabile che i locatori – per non correre rischi e dare luogo ad annose situazioni – si astengano dallo stipulare contratti di locazione sino a che la norma sulla nullità non sia cancellata, come, ripetesi, da assicurazioni fornite dal Governo.”

Serviva forse anche questa fase di rallentamento in un settore già di per sé instabile?

Inoltre, continuo a domandarmi il motivo per il quale più “saggi” (strapagati) abbiamo, più correttivi alle leggi si è costretti ad apportare. Visto che la circolare sopra linkata del Ministero dello Sviluppo Economico – Dipartimento per l’energia – alla fin fine conclude che, fino all’emanazione dei decreti previsti dall’articolo 4, si continuerà a redigere quello che ora si chiama APE come il vecchio ACE secondo “… le modalità di calcolo di cui al decreto del Presidente della Repubblica 2 aprile 2009, n. 59, fatto salvo nelle Regioni che hanno provveduto ad emanare proprie disposizioni normative in attuazione della direttiva 2002/91/CE …”, non si poteva aspettare che l’emanazione di questo pseudo cambiamento avvenisse in tempi in cui i lavori parlamentari sarebbero stati più “fattivi” e non rallentati dalla pausa … estiva?


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