Aliquota Iva al 10% per la manutenzione obbligatoria e periodica degli impianti termici

Chiunque utilizzi impianti termici (caldaie), siano essi privati o condominiali (Enti, Condomìni, Società, ecc.), ai fini della sicurezza e del risparmio energetico oltre che del contenimento dell’inquinamento atmosferico, deve provvedere a mantenere il proprio impianto in perfetto stato di utilizzo.

Preposti ai controlli al fine, sono chiamate le Province, tanto che, periodicamente, queste ultime e le Associazioni dei consumatori e dei manutentori siglano dei protocolli d’intesa per regolare tempi e modi delle ispezioni e manutenzioni degli impianti termici sul territorio di pertinenza.

Gli impianti termici sono quelle attrezzature diciamo fisse – dei veri e propri apparati tecnologici destinati alla climatizzazione estiva (condizionatori d’aria) e/o al riscaldamento invernale (caldaie o similari) degli ambienti – che comprendono eventuali sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore e che sono dotati di organi di regolazione di controllo, dunque soggetti a indispensabile manutenzione (tanto per intenderci, tutto questo non è previsto in caso si utilizzino climatizzatori o stufe movibili).

La responsabilità dell’impianto è senz’altro di chi lo utilizza, sia che si tratti del proprietario dell’immobile dove è installato, sia che si tratti di un locatario e, per quanto riguarda i Condomìni, a rispondere è il loro Amministratore; riguardo agli Enti, alle Società e alle altre persone giuridiche, il responsabile sarà quello indicato espressamente come tale sul cosiddetto libretto di impianto.

In ogni caso, chiunque di questi sopra detti, per le operazioni di controllo e manutenzione è tenuto – previo pagamento a suo totale carico di tariffe stabilite preventivamente e in base alla tipologia di utenza – a servirsi inderogabilmente di un esperto o di un’impresa in possesso dei requisiti tecnico-professionali stabiliti dal D.P.R. n. 37 del 22-01-2008 che, così come ho già scritto in miei precedenti post sull’argomento (“Caldaia sicura? In regola entro il 31 dicembre 2012”, “Prorogato al 15.02.2013 il termine per la messa in regola della caldaia” e “Ancora una proroga per la sicurezza della caldaia: 31 marzo 2013”), deve provvedere a redigere un rapporto di controllo tecnico, compilato secondo un particolare modello (allegato al Decreto Legislativo del 19 agosto 2005, n. 192), attestante il rispetto delle norme vigenti, con particolare riferimento ai risultati dell’ultima delle verifiche periodiche (misurazione del rendimento di combustione), che il titolare dell’impianto deve inviare alla Provincia di appartenenza.

L’inosservanza di tutto ciò è punibile con notevoli sanzioni amministrative e, tuttavia, è mio parere che mantenere in efficienza simili impianti rappresenta anche una tutela per se stessi e per gli altri.

Se non si provvede autonomamente a tali ispezioni entro la scadenza temporale del controllo, il cui inadempimento sarà svelato dal mancato invio dei documenti e versamenti richiesti, i sopralluoghi saranno effettuati d’ufficio, che addebiterà il costo della verifica all’utente.

Questo breve excursus era un modo per rammentare, a me stessa prima di ogni altro – e anche a chi legge -, che tale attività connessa alle operazioni di controllo e pulizia degli impianti termici e alle ispezioni, essendo obbligatoria, presuppone periodicamente (annualmente o al massimo biennalmente) una necessaria inevitabile spesa da corrispondere, direttamente, al tecnico che si occuperà del nostro impianto.

Importante, a questo punto, per noi utenti, risulta la classificazione del tipo di prestazione di cui si tratta, in quanto le attività di revisione periodica degli impianti di riscaldamento, obbligatorie per legge, rientrano tra le prestazioni agevolate previste dall’articolo 3 del Dpr 380/2001 (“Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”).

A fugare ogni dubbio interviene l’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione n. 15/E del 4 marzo 2013, la quale riconosce le operazioni di manutenzione ordinaria tra quelle “… necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti” e, in quanto tali e indipendentemente dalla loro collocazione (in abitazioni private o in Condomìni), devono essere trattate fiscalmente con aliquota al 10% piuttosto che alla vigente del 21%.

Certo, leggere la succitata risoluzione è come essere costretti ad un corso accelerato di economia e finanza oltre che giuridico, ma ciò che interessa noi utenti/consumatori/fruitori/ è che, quando il manutentore ci presenterà il conto con Iva al 21%, avremo diritto a chiedergli il rimborso immediato o che ci venga applicata l’Iva al 10%.

Sembra facile, lo so, ma ora cercherò di spiegare meglio le difficoltà alle quali andremo incontro SE, e dico SE, non troveremo d’accordo il professionista a cui abbiamo affidato il controllo del nostro impianto termico.

Intanto c’è da chiedersi quale potrebbe essere un motivo ostativo, da parte del manutentore, di riconoscerci l’aliquota dettata dalla norma nei casi sopra esposti – ovverosia del 10% – se, per qualche ragione, dovesse aver applicato quella maggiore del 21%.

Che si tratti di … diffidenza nei tempi di rimborso da parte del Fisco? Il sospetto potrebbe anche ingenerarsi, stante che il tecnico, nei casi di cui sopra e ancor prima di poter inoltrare domanda di rimborso al Fisco – tra l’altro entro e non oltre due anni dal versamento dell’Iva – dovrebbe subito restituire al cliente la differenza Iva erroneamente riscossa (cliente che non può rivolgeresi al Fisco per ottenerne il rimborso, stante che economicamente è soggetto all’IVA, ma giuridicamente rimane estraneo al rapporto con il Fisco), dimostrando pure di averla realmente restituita al consumatore; diversamente si potrebbe anche configurare un arricchimento indebito.

In breve, il professionista si troverebbe a sborsare subito una certa somma ai clienti ai quali è stata imposta un’Iva sbagliata, ma rimarrebbe creditore nei confronti del Fisco che, rispettando i SUOI tempi di rimborso, procederebbe solo successivamente alla loro restituzione. Potrebbe, in questi termini, risultare conveniente per un manutentore presentare domanda di rimborso? Ognuno di noi si risponderà da solo.

Qualcuno si è chiesto cosa potremmo fare noi consumatori se il prestatore del servizio dovesse rifiutarsi di chiedere il rimborso e dunque di non riconoscerci l’aliquota Iva prevista dalla norma in questi casi?

A dire il vero mi ha colpito quanto ho letto nell’ultima parte di un commento alla suindicata Risoluzione n. 15/E, tra l’altro molto minuzioso e ricco di particolari legislativi, postato sul sito Web LeggiOggi.it dal titolo “AE: IVA al 10% per la revisione obbligatoria degli impianti di riscaldamento”, che, per opportunità, riporto qui di sèguito:

Come può comportarsi il consumatore finale di fronte al rifiuto del prestatore del servizio di chiedere il rimborso?

Sul punto la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2064 del 28 gennaio 2011 ha statuito che il consumatore può proporre azione di arricchimento senza causa nei confronti del prestatore del servizio davanti al giudice ordinario (Giudice di Pace o Tribunale a seconda del valore). La domanda giudiziale può essere presentata entro il termine di prescrizione ordinario decennale di cui all’art. 2946 c.c. e quindi, anche dopo che per il prestatore del servizio è spirato il termine biennale di decadenza previsto dall’art. 21 del d.lgs. n. 546 del 1992.

Ora, pur difendendo pervicacemente il diritto alla tutela, mi sorge spontaneo un dubbio.

Prendo ad esempio ciò che è riportato in un contratto tipo (allegato al protocollo d’intesa) di controllo e manutenzione programmata impianto termico, stipulato tra l’impresa che ha curato le operazioni di controllo e manutenzione di un impianto termico (caldaia) e un cliente.

Alla voce “Corrispettivo per impianto termico inferiore a 35Kw” è indicato l’importo di € 90,00 (IVA inclusa).

Da un rapido calcolo potremo sùbito dire che, esclusi altri corrispettivi per interventi tecnici non previsi dall’accordo, sarebbero da pagare a titolo di Iva al 21% € 15,62, che il manutentore a sua volta verserà all’Erario. Diversamente sarebbe andata se l’Iva applicata fosse stata del 10%: avremmo avuto un risparmio di circa 7 euro.

Lungi dal voler fare calcoli e percentuali, concludo solo con una mia personale considerazione. Si può ritenere ragionevole avviare un’azione giudiziaria per ingiungere la restituzione di una somma così esigua?

Se consideriamo l’importo delle tariffe previste per questo tipo di intervento, dove anche il più costoso non dovrebbe superare i 100 euro Iva compresa per validità biennale e per il massimo della potenza nominale dell’impianto stesso, si può giustificare un esborso così sproporzionato per proporre un giudizio al solo fine di potersi ritenere soddisfatti per una pronuncia solo di diritto?

Penso che certe iniziative vadano intraprese per princìpi più importanti: al momento possiamo solo pretendere, da chi verrà a fare la manutenzione del nostro impianto termico, l’applicazione dell’Iva al 10%. Se questo non dovesse avvenire, le azioni di ognuno saranno proporzionali alla propria disponibilità economica.

Le reazioni che, invece, non costano nulla ma indignano lo stesso, ci condurranno inevitabilmente a più miti consigli.