Stop al Bollo su Ticket Sanitari: Risoluzione del 15.01.2014

Che il ticket sanitario (soprattutto quello applicato ai redditi bassi) sia ancora oggi un’odiosa tassa sulla salute (dallo Stato considerato più garbatamente un “contributo obbligatorio che il cittadino deve versare, a norma di legge, per ottenere l’assistenza sanitaria”), l’avevo già evidenziato nel mio post del 17 gennaio 2013 dal titolo “Ticket sanitari: odiosa tassa sulla salute”; non a caso torno sull’argomento esattamente un anno dopo, questa volta su quell’altra odiosa e silente tassa sulla salute: l’imposta di bollo su ticket sanitari, stabilita su misura fissa, se superiori a € 77,47 (oltre ovviamente a quella di € 14,62 passata in un balzo a € 16,00 per altri atti).

Seppure non di eccessivo importo (trattandosi di un’imposta in ultimo di € 2,00 e fino al 25 giugno scorso di € 1,81), sommata a tutto il resto e moltiplicata per ogni prestazione sanitaria che la prevedeva, aumentava il balzello che il cittadino si vedeva costretto a versare, volente o nolente.

Dico “si vedeva” in quanto, con Risoluzione numero 9/E del 15 gennaio 2014, la Direzione Centrale Normativa dell’Agenzia delle Entrate ha comunicato che non è più prevista alcuna imposta di bollo sui ticket sanitari ovvero sulle ricevute di pagamento rilasciate dalle Asl o dagli ambulatori convenzionati agli assistiti, anche se l’importo è al di sopra di € 77,47, ovvero:

“Con riferimento al quesito posto, si precisa, dunque, che le ricevute di pagamento rilasciate agli assistiti per il pagamento del contributo alla spesa sanitaria previsto dalla legge n. 8 del 1990 e successive modifiche e integrazioni, non devono essere assoggettate all’imposta di bollo, ancorché l’importo sia superiore al limite di euro 77,47, previsto dall’articolo 13 della citata Tariffa.

Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti.”

La cosa che indispone più di tutte è che, malgrado veniamo depredati da mattina a sera, in ogni e per ogni circostanza, considerati alla stregua di un bancomat da dove attingere somme per coprire questa o quella spesa pubblica (questa volta la motivazione ufficiale dell’aumento era, tra le altre cose, l’accelerazione della ricostruzione in Abruzzo dopo il terremoto dell’aprile 2009 – scopo a mio parere finora vano e di ben altra natura, com’è sotto gli occhi di chi può e vuole vedere e come si apprende recentemente dagli Organi di Informazione), oltre a non riuscire ad ottenere dei servizi sanitari degni di essere ritenuti tali, non si riesce nemmeno a mantenere ciò che a fatica abbiamo conquistato con i nostri sacrifici economici ed esistenziali, prova ne sono – proprio per rimanere in tema di sanità – i tagli e le varie riduzioni dei posti-letto operati a tappeto: non ultime alcune chiusure di punti nascita, di interi reparti, ecc.. Tanto, si sa, il cittadino medio colpito da un malore improvviso verrà sballottato (se sopravvive) da una struttura sanitaria all’altra, come se si comunicasse ancora con i segnali di fumo per sapere se o meno ci sono gli agognati “posti-letto”; il cittadino privilegiato (se sopravvive – almeno in questo siamo uguali) sarà tempestivamente ricoverato in qualche posto letto riservato per le grandi occasioni! Avete mai sentito dire di un personaggio noto che non trova immediato ricovero e intervento?

Chiunque abbia effettuato delle prestazioni di diagnostica strumentale e di laboratorio con ticket superiore a € 77,47 sa di aver pagato, eccezion fatta per quelle prestazioni rese da professionisti seri che si sono fatti carico loro stessi (come prevede la legge) di apporre la marca da bollo sulle ricevute emesse, un’imposta di € 2,00 (fino al 25 giugno 2013 di € 1,81), prevista appunto dall’art. 11 della legge 212 del 27 luglio 2007 sulle ricevute di pagamento del ticket per prestazioni ambulatoriali.

La mia premessa muove dalla circostanza che la maggior parte dei sanitari che hanno emesso fatture superiori a € 77,47, pur consapevoli che l’obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture o ricevute è a loro carico, di norma non l’hanno applicata (nel senso lato del termine, ovvero non l’hanno incollata), lasciando la responsabilità in solido al paziente che, non sapendo nulla e non essendo stato nemmeno istruito sul da farsi, magari li ha versati pure al medico su richiesta verbale di quest’ultimo, sconoscendo che quella mancata applicazione o l’insufficiente importo (se applicato in misura inferiore al dovuto) su quella fattura in originale che gli è stata consegnata dal medico potrebbe ingenerare, previo controllo al fine (che solitamente viene espletato in sede di dichiarazione dei redditi – visto che le spese sanitarie oltre un certo importo si prova a portarle in detrazione) delle sanzioni che vanno dal 100% al 500% della maggiore imposta. Chissà, non è improbabile che sotto la scure dei controlli fiscali ci vada a finire proprio il piccolo contribuente e non studi medici altisonanti (senza generalizzare, ovviamente).

Eh sì, il malcapitato, responsabile in solido, potrebbe essere sanzionato, almeno per la smisurata “evasione” degli anni pregressi, ma è la beffa a indignare, oltre che il danno!

Comunque, ogni tanto una pseudo buona notizia: d’ora innanzi risparmieremo la cospicua somma di € 2,00 per l’imposta di bollo ma continueremo a pagare, in aggiunta agli € 36,15 a ricetta, la quota fissa di € 10,00 per i non esenti il pagamento (che varia da regione a regione – in alcuni casi rimodulata in base al reddito –  e in qualcuna addirittura non è nemmeno prevista).

Eppure, malgrado sia possibile farsi rilasciare la prescrizione su ricettario in bianco per non corrispondere quest’ulteriore somma, se si accede al Sistema Sanitario Nazionale tramite i Centri Unici di Prenotazione (CUP), utilizzando la ricetta rossa, si deve partecipare alla spesa sanitaria pagando il ticket, ovvero una quota del costo della prestazione richiesta e ciò poiché, per fissare l’esame, è necessario comunicare il numero della ricetta (quella rossa) e l’opportunità di non pagare la quota aggiuntiva viene vanificata; diversamente, se ci si reca in struttura convenzionata a volte si trova pure la persona sensibile che, pur facendo corrispondere il ticket come per legge (quello di € 36,15), regola la prestazione come in presenza di ricetta bianca.

A spingerci (o in taluni casi costringerci) a rivolgerci ai privati, configurando pure una perdita economica per il sistema sanitario, sono anche queste scelte che, seppure in questo caso di minore entità, insieme alle tante altre scellerate iniziative in danno del cittadino (in questo caso paziente di nome e di fatto) completano un disegno che, a mio avviso, ha solo l’intento di garantire equilibri in cui noi comuni cittadini non siamo contemplati se non per fare cassa.