“Ruba bandiera” per Salvarsi dal Pignoramento dell’Intero Conto Corrente

Se l’argomento di questa pagina fosse un aneddoto dai toni leggeri, inizierei col descrivere l’immagine di quei giochi all’aperto in cui c’è un percorso da fare di corsa. Ricordo il “ruba bandiera”: quella gara che prevede un giocatore messo al centro (tra due squadre avversarie) con in mano un fazzoletto conteso di volta in volta da due componenti le squadre avverse chiamati per numero. Vince il gruppo che si accaparra più volte il fazzoletto.

Passatempi, questi, movimentati e senz’altro divertenti se non fosse che il tema, così come il “gioco”, in questo caso sia meno ilare, anche se pertinente nella dinamica e nell’analogia: uno sta in mezzo (banca o ufficio postale), mentre gli altri due (il debitore e il creditore) sono costretti a correre per cercare di accaparrarsi la somma accreditata nell’Istituto di Credito. In poche parole bisogna battersi sul tempo … e più avanti cercherò di spiegarne i motivi.

Parlo del pignoramento presso terzi del solo quinto del proprio stipendio o della propria pensione minacciato, in taluni casi, dalle modifiche insensate apportate dalla legge n. 228 del 24.12.2012 (cosiddetta di stabilità) agli articoli 548 e 549 del codice di procedura civile.

Sembra infatti che tale modifica dia la possibilità al creditore (privato o pubblico che sia) di poter ottenere, a fronte del credito vantato e in caso di mancata o negata dichiarazione del terzo pignorato (che può essere l’azienda per la quale si lavora, l’Inps, o altro), non più il pignoramento di un quinto delle spettanze del debitore, ma l’intero importo, impedendogli di fatto una rateale rimessa che gli consenta di poter almeno contare su una parte del suo reddito mensile – altrimenti ridotto a zero – così da sopravvivere e garantire la medesima sopravvivenza anche alla famiglia (se ne ha).

Chiunque si sia trovato o si trovi in difficoltà economiche cerca di differire alcuni pagamenti che ritiene possibile dilazionare, nella speranza che possa farvi fronte volontariamente non appena nelle condizioni di poterlo fare. Purtroppo questo, a volte, non accade nei tempi sperati o peggio non sopravviene e basta e, legittimamente, il creditore si adopera per recuperare quelle somme il cui mancato incasso a sua volta crea identici problemi anche alla controparte.

La legge consente ad un creditore, in possesso di un titolo esecutivo (che può essere una cambiale protestata, un assegno non pagato, un decreto ingiuntivo, ecc.) di poter ottenere con un’azione giudiziaria ciò che gli è dovuto; può farlo direttamente nei confronti del debitore o presso terzi (alla fonte) se l’insolvente riscuote pensioni, stipendi o altre somme in denaro.

Ci sono alcuni crediti che, tranne in casi particolari, non possono essere pignorati (sussidi di povertà, somme erogate da enti di assistenza, alimenti, ecc.); altri invece (come stipendi, pensioni, indennità di fine rapporto [TFR] e altre spettanze) sono pignorabili solo se autorizzati giudizialmente; lo sono nella sola misura di un quinto se si tratta di tributi dovuti alla Pubblica Amministrazione, crediti alimentari e ogni altro credito. La somma pignorabile è ovviamente quella che rimane al netto delle ritenute previdenziali e fiscali. Chi può procedere al pignoramento di un quinto senza aspettare l’emissione di un provvedimento del giudice sono lo Stato e l’Inps.

Tutto ciò segue una procedura piuttosto farraginosa: bisogna adire l’autorità giudiziaria e preventivamente cercare di sapere se il debitore ha a sua volta dei beni, mobili o immobili, da pignorare o, in alternativa, se ha anch’egli dei crediti pecuniari; l’atto dev’essere notificato sia al debitore che al terzo pignorato (il datore di lavoro di quest’ultimo, l’Ente che eroga le sue spettanze o l’Istituto di credito dove e se ha il conto corrente), che tratterrà le somme alla fonte, versandole direttamente al creditore. Per far questo, però, i terzi pignorati (cioè coloro che sono legati all’obbligato da un rapporto che li rende a loro volta debitori dello stipendio, della pensione, ecc.) devono presentarsi in giudizio per rendere la dichiarazione di disponibilità di queste somme e dichiarare se sulle stesse gravano altre detrazioni (come per esempio il mantenimento di un coniuge, cartelle esattoriali, crediti di finanziarie, ecc.), così da poter consentire al giudice di stabilire la misura della nuova decurtazione del debito. Il giudice, in caso di contestazione, blocca le somme richieste chiedendo l’accantonamento in percentuale in favore del debitore fino all’esito del giudizio. Al termine di questo iter, se va a buon fine, inizia la trattenuta alla fonte in danno del debitore e le somme saranno devolute al pignorante.

Va detto pure che, già prima, se tale pignoramento veniva fatto sui depositi bancari attivi (cosa improbabile ovviamente per vari motivi: dalla mancanza di liquidità alla volontà di non tenere somme depositate e facilmente aggredibili da creditori) il conto sarebbe stato congelato e non sarebbe stato permesso alcun prelievo né alcun pagamento di utenze o altro con rimessa diretta su quel conto.

Questo è quanto molto sommariamente e sinteticamente accadeva finora.

Ma la modifica agli articoli di cui sopra pare stia innescando un meccanismo a dir poco spietato nei confronti del debitore che, seppure in torto per non aver potuto o voluto pagare le somme dovute, si potrebbe trovare non più a “rateizzare” il debito nella misura di un quinto delle sue spettanze, ma addirittura l’intero importo che non garantirebbe nemmeno il cosiddetto minimo vitale per sopravvivere.

Cos’è cambiato esattamente?

Per le azioni di pignoramento verso terzi intentate da quest’anno (2013) presso i datori di lavoro o l’Inps, se questi non si presentano in udienza per rendere la dichiarazione di disponibilità o meno delle somme, il pignoramento diventa immediatamente esecutivo ritenendolo non contestato.

In poche parole questa dichiarazione viene considerata superflua in quanto resa successivamente ad un decreto ingiuntivo notificato al debitore; il decreto, se non opposto, diventa esecutivo e viene seguito dall’atto di precetto che, essendo notificato ad entrambi, prima ancora di arrivare in udienza col terzo pignorato il debitore – laddove vi siano i presupposti – ha già la possibilità di far valere le sue ragioni con eventuale contestazione e/o opposizione che ne invalida l’esecutività.

Le modifiche apportate agli articoli di cui sopra, il n. 548 e 549 del codice di procedura civile, sono quelle che seguono:

Articolo 548 prima

Mancata o contestata dichiarazione del terzo

I. Se il terzo non compare all’udienza stabilita o, comparendo, rifiuta di fare la dichiarazione, o se intorno a questa sorgono contestazioni, il giudice, su istanza di parte, provvede all’istruzione della causa a norma del libro secondo.

II. Se il terzo non fa la dichiarazione neppure nel corso del giudizio di primo grado, può essere applicata nei suoi confronti la disposizione dell’articolo 232 primo comma.

Art. 548 – Sostituito dall’art. 1, comma 20, legge 24 dicembre 2012, n. 228

I. Se il pignoramento riguarda i crediti di cui all’articolo 545, terzo e quarto comma, quando il terzo non compare all’udienza stabilita, il credito pignorato, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione, e il giudice provvede a norma degli articoli 552 o 553.

II. Fuori dei casi di cui al primo comma, quando all’udienza il creditore dichiara di non aver ricevuto la dichiarazione, il giudice, con ordinanza, fissa un’udienza successiva. L’ordinanza è notificata al terzo almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Se questi non compare alla nuova udienza, il credito pignorato o il possesso del bene di appartenenza del debitore, nei termini indicati dal creditore, si considera non contestato a norma del primo comma.

III. Il terzo può impugnare nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617, primo comma, l’ordinanza di assegnazione di crediti adottata a norma del presente articolo, se prova di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore.

Art. 549 prima

Accertamento dell’obbligo del terzo

I. Con la sentenza che definisce il giudizio di cui all’articolo precedente, il giudice, se accerta l’esistenza del diritto del debitore nei confronti del terzo, fissa alle parti un termine perentorio per la prosecuzione del processo esecutivo.

Art. 549  – Sostituito dall’art. 1, comma 20, legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha inserito, alla fine, le parole «nonché l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata del creditore procedente»

I. Se sulla dichiarazione sorgono contestazioni, il giudice dell’esecuzione le risolve, compiuti i necessari accertamenti, con ordinanza. L’ordinanza produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione ed è impugnabile nelle forme e nei termini di cui all’articolo 617.

Ma v’è di più.

Dall’introduzione dell’indispensabile obbligata apertura di conto corrente per l’accredito di tutte quelle somme che superano i 1.000 euro, si è innescata una situazione a dir poco paradossale in quanto, se prima un creditore per avere le sue somme aggrediva il debitore nelle forme più consuete – ovvero pignorando gli stipendi o le pensioni direttamente alla fonte, non considerando nemmeno il conto corrente (se ed in quanto esistente) poiché sicuramente in rosso -, ora invece, con il passaggio obbligato sul conto di deposito di tutti gli accrediti ai fini della cosiddetta tracciabilità, è più facile attaccare gli Istituti di Credito presso il quale il debitore ha un conto corrente e, se c’è capienza, recuperare il tutto in una volta sola e non solo in percentuale fino alla concorrenza dell’intero debito.

Questo accadrebbe perché, dal momento che il conto corrente dovesse venire pignorato, per il cliente/debitore non vi sarebbe più alcuna possibilità di poter effettuare operazioni di prelievo su quel conto fino a nuove disposizioni di un giudice (al quale inevitabilmente ci si dovrà affidare) o fino alla completa estinzione del debito nei confronti del creditore. Verrebbero impediti anche eventuali disposizioni automatiche di pagamenti, creando così un’inevitabile insolvenza anche nei confronti di altri.

Ora, per tornare alla triste analogia del gioco “ruba bandiera”, ho la sensazione che non basterà il sit in davanti all’istituto di credito presso il quale sono canalizzati (obbligatoriamente) lo stipendio o la pensione (insieme a qualche risparmio di una vita di sacrifici), poiché sono certa che simili atti espropriativi seguano canali telematici più competitivi di un’occupazione territoriale del diretto interessato!

Pertanto, se ci si dovesse trovare in una simile condizione, prima ancora di arrivare al pignoramento presso terzi, una volta saputo del debito sarebbe preferibile convertirlo, sempre se dovuto, in una richiesta di rateizzazione in modo tale da non trovarsi senza alcuna risorsa per vivere, perché non escludo che si possa giungere a tanto: chi non effettuerebbe un pignoramento fruttuoso così da ottenere il credito in un’unica soluzione piuttosto che aspettare di ricevere lentamente le somme nella percentuale di circa il 20% (un quinto) dello stipendio o pensione netta del debitore?