Ancora Incertezze Su Chi Paga La Retta Della Casa Di Riposo

Il 3 febbraio 2013, dopo la pronuncia del Consiglio di Stato n. 5782 del 16 novembre 2012, avevo affrontato e manifestato alcune personali riflessioni su un argomento che chiunque abbia un familiare anziano o con gravi patologie (tali da non consentire, per vari motivi, una serena permanenza a casa) dovrebbe conoscere: “Chi deve pagare la retta della casa di riposo se…”.

Per informazioni più recenti sull’argomento, leggi qui: CHI DEVE PAGARE LA RETTA DELLA CASA DI RIPOSO? NOVITÀ 2017

La citata pronuncia, prendendo una netta posizione su un problema di grande rilievo economico e sociale, aveva stabilito che quando un anziano non ha i soldi per pagare la retta di una residenza assistita convenzionata, non può nemmeno gravare sui figli chiedendo loro di integrare le somme o versarle per intero al posto suo. Deve invece intervenire il Comune con i suoi servizi sociali.

Il problema, se si ha la disponibilità economica per potervi provvedere, non esiste: si può scegliere di essere assistiti in casa facendo ricorso a badanti o si può decidere il tipo di residenza assistita che dovrà ospitarci.

Per le persone autosufficienti (ovverosia in grado di poter compiere gli atti essenziali della vita quotidiana), ma che mancano di disponibilità economiche proprie per poter far fronte al pagamento delle rette nelle case di riposo, purtroppo, non interverrà alcun Ente, ma sono tenuti a farlo i familiari obbligati per legge agli alimenti (ordine previsto dall’art. 433 del codice civile), rispondendo ovviamente secondo le proprie possibilità economiche.

È diverso, invece, per gli anziani che si trovano in condizioni economiche disagiate e anche i familiari non navigano in buone acque.

Cos’è cambiato? Chi dovrà farsi carico di pagare la retta?

Prima del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 5 dicembre 2013 (“Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”), del quale ho in parte anticipato gli effetti nel mio post del 12 gennaio 2014 dal titolo “ISEE: ieri e oggi”, se l’anziano era ultrasessantacinquenne non autosufficiente, dunque nelle condizioni di totale disabilità (100%) e con un reddito non bastante a pagare da solo la retta in una casa di riposo – calcolato in base ai redditi del solo assistito e non anche dei propri familiari, seppure in parte – poteva rivolgersi al proprio Comune di residenza perché quest’ultimo provvedesse, con un piano terapeutico adeguato, all’inserimento del degente in una struttura di riposo in regime di convenzione, integrando il canone mensile.

che-confusionePurtroppo, però, come soventemente accade nella nostra Nazione, ogni pronuncia, dispositivo o sentenza “fa brodo”. Si modifica una legge, anche se nazionale, e fa nuova giurisprudenza. In poche parole, ogni giudice e/o collegio decide a discrezione. Ovviamente lo fa in modo legittimo, poiché gli è consentito “per legge”, ma non sempre queste decisioni sono logiche e giuste. Alcune di queste stravolgono nettamente le linee base dettate dalla norma originaria, vanificandone il principio (quando questo c’è!) e gettando nella più totale confusione.

Per non parlare poi dei casi, come quello in discussione, in cui il nostro Governo, e dunque i nostri parlamentari, che di sacrifici credo ne conoscano veramente pochi (leggi pure per niente), approntano una legge, la discutono in svariate sedute (che hanno il loro perché!), in tempi interminabili, tra commissioni ed emendamenti, rettifiche e modifiche e, togliendo e aggiungendo, alla fine riescono a promulgarla, ma “dimenticano” di completarla. Iniziano gli effetti della legge, ma con le inevitabili ripercussioni negative sui cittadini.

Ed infatti è accaduto che la citata Legge che ha introdotto il nuovo ISEE (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 159 del 5 dicembre 2013), al suo articolo 15, abrogando (annullando) il Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 109 e successive modificazioni ed integrazioni, ha rimesso di nuovo in discussione i soggetti tenuti a pagare la retta nella casa di riposo se ultrasessantacinquenni, indigenti e invalidi al 100%.

Ciò in quanto l’art. 2 comma 6 del Decreto Legislativo 109/1998, modificato ed integrato da quello del 3 maggio 2000, n. 130 (CHE RISULTA ANCORA VIGENTE), dice espressamente:

“Art. 2 (Criteri per la determinazione dell’indicatore della situazione economica equivalente). 

Comma 6. Le disposizioni del presente decreto non modificano la disciplina relativa ai soggetti tenuti alla prestazione degli alimenti ai sensi dell’art. 433 del codice civile e non possono essere interpretate nel senso  dell’attribuzione agli enti erogatori della facoltà di cui all’articolo 438, primo comma, del codice civile nei confronti dei componenti il nucleo familiare del richiedente la prestazione sociale agevolata.

Starebbe ad indicare che gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento […]” (Art. 438 del Codice Civile). Sembra chiaro che nessun altro possa rivolgersi ai familiari se non la persona interessata, escludendo di fatto questa possibilità agli “Enti erogatori”.

La confusione nasce dalla circostanza “anomala” in cui ci si trova al momento:

1) abbiamo una norma (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre 2013, n. 159, art. 15) che inequivocabilmente cancella il decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 109;

2) la disposizione n. 109/1998, modificata dalla n. 130/2000 (che dovrebbe essere cancellata), in realtà risulta a tutt’oggi vigente.

3) e, ove non bastasse, abbiamo pure la Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali dell’8 novembre 2000, n. 328, ANCHE QUESTA ANCORA VIGENTE, che con chiarezza indica al suo art. 25 (Accertamento della condizione economica del richiedente) che “ai fini dell’accesso ai servizi disciplinati dalla presente legge, la verifica della condizione economica del richiedente è effettuata secondo le  disposizioni  previste  dal decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, come modificato dal decreto legislativo 3 maggio 2000, n. 130”.

Come si deve procedere in presenza di simili contraddizioni?

Siamo alle solite: ogni diritto va conquistato e, quando questo è acquisito, va riconfermato e, se messo in discussione, va reclamato e, visto che la controparte è lo stesso soggetto che prima concede e poi rifiuta di riconoscerti quel diritto, tutto si riconduce in un’aula di Tribunale dove altre sentenze e lungaggini completeranno il quadro di ingiustizie che ormai non ha più limiti e non conosce confini.

Forse, per evitare che il peggio si stagli sul nostro percorso già accidentato, si potrebbero intanto assumere informazioni presso il proprio Comune di residenza sulla gestione dei fondi messi a disposizione per l’integrazione della retta per le case di riposo in regime di convenzione; se non soddisfatti, credo che l’unica alternativa sia quella di rivolgersi o a un’associazione di consumatori o ad un legale di fiducia perché fin dall’inizio ci chiarisca il comportamento più consono ad affrontare questo delicato problema.

nonniLeggo da più parti anche il suggerimento, per chi ha già firmato un impegno a garanzia personale con la struttura di riposo, di inviare una lettera di recesso di quanto sottoscritto, comunicando che non si è più disposti a pagare alcunché. A dire il vero, può sembrare una soluzione facile e anche più rapida, considerato pure che – da ciò che ho letto – sembra che la struttura di accoglienza non possa dimettere il degente poiché incorrerebbe in reati anche penali, ma, in merito, vorrei esprimere le mie riserve e porre a me stessa una domanda: lascerei ancora, su imposizione, un mio familiare, incapace di qualsivoglia strumento di difesa, lì dove so per certo non essere più gradito?

“Le due più grandi sventure nella vita sono una cattiva salute e una cattiva coscienza” (Lev Tolstoj)… degli altri, naturalmente!

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